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Il Manhattan College potenzia i servizi informatici per supportare meglio studenti e docenti

Considerato il personale IT limitato, il Manhattan College non attuava economie di scala per i progetti più vasti, che si rivelavano sia poco efficienti che costosi. Passando a Google Cloud, lo staff ora impiega meno tempo nel data center e ne dedica di più alle persone a cui offre il servizio.

Il dipartimento IT del Manhattan College comprende 22 persone, quindi le risorse sono piuttosto limitate. "Siamo come un coltellino svizzero: facciamo molte cose, ma non abbiamo esperienza in nessuna area specifica", afferma Jake Holmquist, Direttore dei sistemi informativi del Manhattan College. "Molto del nostro personale è composto da informatici generici, quindi è difficile che una soluzione buona diventi ottima". Il college aveva impiegato numerosi strumenti on-premise, che sono diventati più complicati e costosi man mano che le esigenze e i problemi crescevano.

"Lungo il percorso abbiamo principalmente abbattuto gli ostacoli della cloud e preso confidenza con un concetto inizialmente estraneo sia agli utenti che al personale IT. Man mano che superavamo ciascun ostacolo era più semplice andare avanti."

Jake Holmquist, Direttore dei sistemi informativi, Manhattan College

Passare alla cloud

"Siamo ricorsi alla cloud", afferma Holmquist. "Nella maggior parte dei casi, si è rivelata la risposta migliore". Il Manhattan College utilizza gli strumenti Google dal 2008. Prima è avvenuto il passaggio a Gmail e questo, spiega Holmquist, "è stato il passo iniziale di cui noi dell'IT avevamo bisogno per mostrare al resto del campus che operare nella cloud era fattibile". Proseguire con Google era la scelta sensata, sia per la sua reputazione di fiducia sia per la dimestichezza e la facilità dei suoi strumenti. "Poiché disponevamo già di account Google Workspace, per il nostro team IT è stato molto facile accedere agli strumenti Google Cloud e delegarne l'accesso man mano che avviavamo i servizi", afferma.

Il team IT ha iniziato con sistemi con ridondanza a basso costo e "dataless": DNS e piccoli siti web senza informazioni personali. "Mentre acceleravamo l'adozione della cloud e la migrazione di servizi maggiormente rivolti all'utente", dichiara Holmquist, "abbiamo iniziato a inserire la dicitura "ambiente cloud sicuro" nei nostri messaggi sugli upgrade e sulle migrazioni. Inoltre, era previsto un nuovo livello di ridondanza e i servizi ad alta disponibilità registravano prestazioni migliori, erano più ridondanti e più affidabili una volta migrati sulla cloud: questo è qualcosa che non avremmo mai raggiunto on-premise".

Nel corso del tempo, "il nostro percorso ha comportato principalmente abbattere gli ostacoli della cloud e prendere confidenza con un concetto inizialmente estraneo sia agli utenti che al personale IT", afferma. "Man mano che superavamo ciascun ostacolo, era più semplice attuare le azioni successive".

Holmquist osserva che quando hanno adottato per la prima volta Google Cloud, nel 2014, gli strumenti non erano ben documentati. Da allora, tuttavia, "sono diventati molto più facili da usare, la UI permette di fare più cose e la documentazione è migliorata molto, grazie a esempi più pertinenti e a una community di supporto più ampia".

Le sfide si rivelano gratificanti

La principale sfida del Manhattan College coinvolgeva le grandi applicazioni commerciali che aveva migrato. La maggior parte era progettata per il data center e, dichiara Holmquist, "in base alla nostra esperienza, non è dimostrata pronta all'uso quando è stata trasferita sulla cloud. L'ostacolo maggiore che abbiamo affrontato è stata la configurazione iniziale di queste impostazioni (non documentate bene) per ottimizzare le applicazioni per le nuove opportunità che la cloud offre".

Tuttavia, secondo Holmquist, il miglior risultato ottenuto finora è dovuto proprio a quel problema: nel luglio del 2017, il personale IT ha implementato "Banner 9", un upgrade del loro sistema precedente.

"Un deployment tipico nel nostro data center comportava la spesa di somme a cinque zeri in hardware: tuttavia, non avevamo la garanzia che ci venisse fornito e ne fosse eseguito il provisioning in tempo per permetterci di eseguire i numerosi test necessari e farlo diventare operativo nell'estate 2017", afferma. "Invece, noi abbiamo adottato un approccio inedito che consisteva nell'eseguire il deployment di questi nuovi componenti Banner 9 nel Compute Engine di Google Cloud. Siamo riusciti ad avviare in modo rapido e facile i vari componenti durante i test di installazione e di upgrade. Quando non ci siamo riusciti, abbiamo eliminato rapidamente l'istanza e iniziato da capo nel giro di qualche minuto. Grazie all'Assistenza Google siamo stati in grado di identificare numerose impostazioni collegate alla VPN site-to-site (componenti di Banner 9 in Google Cloud che parlavano al database on-premise), all'ottimizzazione delle prestazioni del server delle applicazioni e infine all'alta disponibilità e al certificato SSL".

Alla fine, sono riusciti a distribuire un ambiente di produzione con "prestazioni eccellenti e un livello di elevata disponibilità che non avremmo potuto ottenere con un sistema on-premise".

Ora il college riesce ad avviare ed eseguire il provisioning di un nuovo sistema in pochi minuti. "Se dobbiamo iniziare da capo, ci impieghiamo perfino meno tempo a eliminarlo", dichiara. "Meglio ancora, più membri del personale possono avviare i servizi in base alle esigenze, invece di attendere che un amministratore di sistema esegua il provisioning per loro".

Godersi i progressi con uno sguardo al futuro

In particolare, l'obiettivo di Holmquist era far uscire il team IT dal data center e coinvolgerlo maggiormente in iniziative a contatto con l'utente. "Abbiamo sicuramente oltrepassato un limite: i nostri sistemi ospitati in Google Cloud sono più numerosi di quelli nel nostro datacenter", afferma. "Invece di effettuare la manutenzione dei server, sostituire i componenti difettosi e applicare le patch, ora ci dedichiamo a far funzionare le nostre applicazioni in un modo più efficiente che porti risultati meglio misurabili ai nostri utenti finali".

Inoltre, le funzionalità su cui gli utenti del campus ora fanno affidamento, ad esempio le prestazioni eccellenti e l'elevata disponibilità, un tempo erano di gran lunga troppo costose perché un college potesse implementarle da solo, soprattutto considerando la limitatezza delle risorse. "Con Google Cloud invece abbiamo accesso a queste funzionalità senza costi iniziali esorbitanti e, nella maggior parte dei casi, sono già incluse nel set di strumenti", afferma. "L'aspetto migliore è che i costi sono una frazione di quanto avremmo pagato per un servizio on-premise ed è qualcosa che è possibile gestire in modo efficace con il personale esistente".

Al Manhattan College sono stati compiuti grandi progressi, ma ne sono previsti molti altri. La scuola continuerà a sostituire i server del data center facendone meno uso e punterà a esplorare modalità migliori e più efficienti per fornire servizi nella cloud.

Holmquist è lieto di aver sgravato il personale IT affinché dedicasse maggiori risorse al "miglioramento dei processi aziendali" grazie a flussi di lavoro elettronici e affinché desse più senso ai dati del campus attraverso iniziative di reportistica e analisi dei dati con gli uffici del campus. Il dipartimento è riuscito a trasformare una posizione IT che per tradizione era concentrata sulle attività interne in "uno strumento di formazione tecnologica concentrato sull'utente che consentisse agli utenti di crescere con questi nuovi mezzi". Holmquist è impaziente di vedere in che modo gli strumenti di machine learning e di analisi possano essere utilizzati a sostegno di questo sforzo.

Per adesso, afferma Holmquist, "Google Cloud ci ha fornito un set di strumenti per risolvere problemi complessi che non saremmo riusciti a risolvere da soli".

"Google Cloud ci ha fornito un set di strumenti per risolvere problemi complessi che non saremmo riusciti a risolvere da soli."

Jake Holmquist, Direttore dei sistemi informativi, Manhattan College

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